Quei cattolici lontani da Roma
di Mauro Castagnaro (dalla rivista “Jesus”)

Nel continente latinoamericano cresce il numero delle Chiese che si definiscono «cattoliche», ma che non sono in comunione con il Vaticano. Si tratta di comunità spesso fondate da preti e vescovi che si sono staccati da Roma, dando vita a un pulviscolo di denominazioni cristiane che raccolgono un numero crescente di fedeli.

La cappella è in fondo alla casa. Ha le pareti dipinte di giallo e caffè, in onore della Virgen del Carmen, di cui c’è una statua all’ingresso. Nella stanza ci sono quattro panche di legno, un tavolo che funge da altare, con candele ai lati, e dietro un piccolo tabernacolo in cui vengono conservate le ostie non utilizzate. La celebrazione, cui partecipano trenta persone – costaricensi di ceto medio – segue il ritmo consueto della Messa, anche se al momento dell’omelia in diversi intervengono per commentare le letture. Il fatto che il celebrante sia assistito da una donna diacono rivela però che questa comunità non è cattolica romana. Appartiene, infatti, alla Chiesa cattolica ecumenica di Cristo, fondata nel 1998 a Miami come Chiesa cattolica apostolica romana riformata da Karl Rodig (presbitero tedesco fattosi consacrare vescovo senza il consenso del Papa negli Usa), la quale ammette le donne al sacerdozio e i divorziati risposati all’eucaristia, non obbliga i preti al celibato, lascia libertà di coscienza ai fedeli nell’uso dei contraccettivi, prevede la partecipazione di laici e clero all’elezione dei vescovi ed enfatizza il «Vangelo sociale» nella linea della Teologia della liberazione. Proclamandosi «non una “Chiesa nuova”, ma un’opzione cattolica nella diversità di idee», oggi dichiara 400 mila membri nel mondo e comunità sparse in Europa, Asia, Africa e America (tra cui Costa Rica, Cuba, El Salvador, Messico, Nicaragua e Panama).

La Chiesa cattolica ecumenica di Cristo è solo un esempio dell’emergere in America latina di comunità ecclesiali che si definiscono cattoliche, poiché professano il Credo niceno-costantinopolitano, celebrano i sette sacramenti, conservano il triplice ordine del ministero e rivendicano un’ininterrotta successione apostolica, ma non sono in comunione con Roma.

Secondo alcune stime, ad esse aderirebbero circa 10 milioni di persone nel mondo (un terzo delle quali alla Chiesa filippina indipendente, creata nel 1902 dal clero cattolico nazionalista nel contesto della rivoluzione antispagnola del 1898 e attualmente in piena comunione con l’Unione di Utrecht delle Chiese vetero-cattoliche), ma il fenomeno è difficilmente quantificabile, soprattutto per la sua fluidità, con gruppi, in genere piccoli, che si formano e si dissolvono di frequente, accordi di comunione che si alternano a scissioni, presbiteri e vescovi che passano rapidamente da una denominazione (o giurisdizione, come preferiscono definirsi, ritenendosi parte dell’unica Chiesa cattolica) all’altra. Se, comunque, le dimensioni appaiono assai distanti dal boom delle Chiese evangeliche pentecostali, le citazioni della cronaca fanno pensare che non si tratti della mera sommatoria di casi individuali di «dissidenza religiosa».

Alcuni analisti vi vedono il riemergere di un filone cattolico favorevole alla creazione di una Chiesa nazionale separata amministrativamente da Roma, manifestatosi durante le lotte indipendentiste del XIX secolo in diversi Paesi (Argentina, Brasile, Messico, ecc.); altri, come lo studioso argentino Oscar Gerometta, lo giudicano «parte dell’atomizzazione dell’esperienza religiosa contemporanea »; altri ancora parlano della penetrazione in America latina di forme cristiane tipiche degli Stati Uniti (dove esistono circa 250 «Chiese cattoliche indipendenti o autocefale» per complessivi 230 mila fedeli, rispetto ai 77 milioni di cattolici romani). E non manca chi lo interpreti come una reazione al rifiuto della Chiesa cattolica romana di attuare riforme come l’abolizione del celibato obbligatorio per i preti.

La maggioranza di questi gruppi è nata nell’ultimo trentennio, separandosi dalla Chiesa cattolica o dalle Chiese ortodosse oppure derivando da comunità protestanti carismatiche che hanno riscoperto la dimensione sacramentale e la successione apostolica storica o da una denominazione cristiana affine. Tra loro si registra una grande varietà di tendenze teologiche, forme di organizzazione ecclesiale, regole di disciplina interna e modelli di celebrazione liturgica, andando, tra quelle con una configurazione «cattolico romana», da una sensibilità «tradizionalista» a una «riformatrice». Assai diversificate sono quindi le posizioni su temi controversi come l’ordinazione delle donne e di omosessuali sessualmente attivi, le unioni di persone dello stesso sesso, l’aborto, la contraccezione e il divorzio.

Quasi nessuna «Chiesa cattolica indipendente » prevede l’obbligo del celibato per i presbiteri, mentre sono una minoranza quelle che consentono l’accesso delle donne al sacerdozio. Questo pluralismo si riscontra anche sul piano sociopolitico, dove ad alcune che considerano loro magistero i documenti delle Conferenze dell’episcopato latinoamericano svoltesi a Medellín nel 1968 e a Puebla nel 1979, fanno propria l’«opzione per i poveri» o venerano monsignor Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador ucciso dall’oligarchia nel 1980, se ne contrappongono altre di orientamento nettamente conservatore.

Figura chiave nello sviluppo del «cattolicesimo non romano» in America latina è dom Carlos Duarte Costa. Nominato vescovo di Botucatu, nello Stato brasiliano di Sao Paulo, da Pio XI nel 1924, si schierò apertamente contro il regime militare populista di Getulio Vargas, partecipando alla fallita «rivoluzione costituzionalista» del 1932 col Battaglione diocesano dei cacciatori, più noto come il «battaglione del vescovo». Propose inoltre al Papa di consentire la celebrazione della Messa in lingua locale e versus populi nonché la benedizione della seconda unione dei divorziati risposati civilmente affinché potessero partecipare all’eucaristia, di abolire l’obbligo del celibato per i preti e sostituire la confessione auricolare con una comunitaria con assoluzione generale, di introdurre il diaconato permanente per i laici sposati e istituire un Consiglio di vescovi per governare la Chiesa insieme al Pontefice, oltre che di vendere le proprietà ecclesiastiche per fondare istituzioni caritative.

Tacciato di promuovere devozioni poco conformi alla retta fede e di avere dilapidato i beni della diocesi, nel 1937 dom Duarte Costa fu costretto a rinunciare alla guida della diocesi, assumendo il titolo di vescovo di Maura (una diocesi non più esistente). Proseguì, tuttavia, la sua attività politica a favore della riforma agraria e criticò la dottrina sociale della Chiesa in quanto negatrice del conflitto tra capitale e lavoro. Nel 1944 l’accusa di comunismo gli valse gli arresti domiciliari per tre mesi e la sospensione a divinis. L’anno dopo denunciò la Santa Sede per aver favorito la fuga di gerarchi nazisti in America latina, venne scomunicato e subito fondò la Chiesa cattolica apostolica brasiliana (Icab), che guidò fino alla morte, nel 1961, consacrando vari vescovi da cui è scaturito un lunghissimo elenco di Chiese in tutto il mondo, alcune aderenti alla Comunione mondiale delle Chiese cattoliche apostoliche (la più consistente organizzazione internazionale cattolica non romana, attualmente formata da 14 Chiese nazionali, che si stima contino un paio di milioni di fedeli), la maggioranza del tutto autonome.

I vescovi indipendenti rivendicano di aver conservato l’episcopato storico, sulla base di una comprensione della successione apostolica mantenuta nella Chiesa cattolica dal IV al V secolo, secondo cui una persona diventa autentico vescovo se è consacrato, con un rito approvato, da un altro vescovo (validamente ordinato) anche quando questi è al di fuori dei confini del cattolicesimo. La Santa Sede ha però più volte dichiarato tali consacrazioni episcopali prive di effetti canonici, pur senza esprimersi sulla loro validità.

A sostegno della propria tesi le comunità cattoliche autocefale portano comunque il caso di dom Salomão Ferraz, pastore presbiteriano brasiliano fondatore nel 1936 della Chiesa cattolica libera (che celebrava la Messa in portoghese e non esigeva il celibato dai preti) e consacrato vescovo nel 1945 dall’appena scomunicato dom Duarte Costa. Nel 1959, durante il pontificato di Giovanni XXIII, dom Ferraz (all’epoca sposato e con sette figli), fu ammesso nella Chiesa cattolica romana senza essere riconsacrato (neppure sub conditione, cioè a regolarizzare quella precedente) e nominato nel 1963 vescovo titolare di Eleutherna, a Creta, partecipando, su invito di Paolo VI, al Concilio Vaticano II. L’assenza di riconsacrazione viene ritenuta un riconoscimento implicito delle consacrazioni riconducibili a dom Duarte Costa (note come «linea Rebiba», dal nome del cardinale Scipione Rebiba del XVI secolo), che sarebbero illecite, perché prive di mandato apostolico, cioè dell’autorizzazione papale, ma valide, perché realizzate da un ministro valido e utilizzando forma, materia e intenzioni valide.

In Brasile le Chiese cattoliche non romane sono attualmente almeno 25 (e il numero potrebbe più che raddoppiare, se si accertasse la vitalità di diverse altre sigle), cui si aggiungono sette congregazioni religiose indipendenti. Contano complessivamente una cinquantina di vescovi, un migliaio di preti e alcune centinaia di migliaia di fedeli. Molte sono nate da scissioni o da riunificazioni di denominazioni cattoliche preesistenti, ma i tentativi di creare un Consiglio nazionale delle Chiese cattoliche indipendenti del Brasile non hanno mai avuto successo.

Alcune registrano una forte crescita, come la Chiesa cattolica carismatica, fondata nel 2006 da un gruppo di laici dell’arcidiocesi di Belém che volevano superare il divieto che c’è nella Chiesa cattolica romana di ammettere uomini e donne, sposati e no, al presbiterato e di celebrare le seconde nozze dei divorziati. Oggi i fedeli della Chiesa cattolica carismatica sono circa 10 mila. Altre, come la Chiesa brasiliana libera, hanno ottenuto notorietà per aver tentato di esporre immagini di madre Paulina (prima santa brasiliana, canonizzata da Giovanni Paolo II nel 2002 e accusata in vita di essere lesbica) alla parata dell’Orgoglio gay e di inscenare una rappresentazione dell’Ultima Cena con dodici travestiti nel ruolo degli apostoli (ambedue le manifestazioni sono state vietate dalle autorità giudiziarie). La Chiesa cattolica apostolica tradizionale in Brasile è andata in cronaca per aver celebrato le seconde nozze di alcune celebrità dello spettacolo. Entrambe le Chiese sono state fondate alla fine degli anni ’90. Altre ancora si sono trovate al centro di scandali, come la Chiesa dei veterocattolici in Brasile (in passato in comunione con l’Unione di Utrecht perché fondata negli anni ’30 da missionari della Chiesa nazionale polacca negli Stati Uniti), a causa dell’assassinio nel 2003 dell’arcivescovo primate, dom Paulo Pereira, secondo alcuni su mandato di dom John Wesley, da lui espulso e fondatore della Chiesa antico-cattolica in Brasile.

Quanto all’Icab, dopo la morte di dom Duarte Costa conobbe numerose scissioni, da cui sono nate diverse comunità (Chiesa cattolica apostolica cristiana, Chiesa cattolica apostolica di Gerusalemme, Chiesa cattolica apostolica nazionale, ecc.), alcune oggi estinte, altre suddivisesi a loro volta in più gruppi, altre ancora che si proclamano «ortodosse» o «vetero-cattoliche». Allo stesso tempo ha assunto un orientamento molto più conservatore, accusando la Chiesa cattolica romana di «aver sostituito Cristo con Marx e la patria col comunismo ateo». Di fatto, la Icab e le altre “Chiese brasiliane” si dedicano quasi esclusivamente a impartire sacramenti, a volte anche come modo per sopravvivere finanziariamente, accogliendo persone che non intendono sottoporsi ai corsi preparatori richiesti per accedervi dalla Chiesa cattolica romana o che vogliono celebrarli in condizioni da questa non accettate, per esempio il secondo matrimonio ai divorziati.

Per questo la Conferenza episcopale cattolica del Brasile (Cnbb) ha più volte ripetuto che «non hanno popolo proprio, operando tra gente già impegnata con la Chiesa cattolica», né «gerarchia legittima non essendo i loro “vescovi” mai stati uniti al “corpo episcopale” della Chiesa cattolica», per cui «le “Chiese brasiliane” non posseggono sufficienti elementi costitutivi di Chiese o comunità cristiane con caratteristiche proprie ». Di conseguenza «data la serietà delle realtà sacramentali e la cura di cui dobbiamo circondare l’amministrazione di questi “misteri di Dio”, e siccome non c’è garanzia della validità per i sacramenti ricevuti nella “Chiesa brasiliana”, siano ripetuti sub conditione ogni volta che se ne presentasse il caso».

Di «rapida crescita delle Chiese cattoliche nazionali, in particolare della Chiesa santa cattolica apostolica di rito tridentino », costituita nel 2000, parla esplicitamente, a proposito del Messico, Arturo Navarro, docente di Dialogo e pluralismo religioso all’Istituto tecnologico e di studi superiori di Occidente dell’Università gesuita di Guadalajara, che evidenzia come dal 1993 ben undici siano state riconosciute dal Governo, senza contare la Chiesa cattolica apostolica tradizionale Messico-Usa dell’arcivescovo David Romo, assurto in marzo agli onori della cronaca per aver celebrato nella capitale il primo matrimonio religioso tra persone dello stesso sesso.

Il caso comunque più clamoroso appare quello del Guatemala. Qui nel 2003 è stata fondata la Chiesa cattolica apostolica antica ortodossa di Guatemala e Centroamerica, che aderisce alla Comunione apostolica ecumenica mondiale, guidata dall’arcivescovo Sebastian Camacho della Chiesa cattolica apostolica antica del Rio de la Plata, di radici vetero-cattoliche. Nel 2007 di questa piccola Chiesa è divenuto vescovo il prete cattolico Armando Duque, scomunicato nel 2006 insieme a Eduardo Aguirre, a sua volta consacrato dai vescovi della Icab primate della Chiesa cattolica ecumenica rinnovata in Guatemala. Questa ha registrato una crescita considerevole, tanto che conterebbe 350 mila fedeli in 750 comunità, diffuse soprattutto nelle zone indigene più povere del Paese. Padre Aguirre aveva fondato nel 2003 la Comunione Santa Maria del nuovo esodo, un movimento cui potevano aderire cattolici, evangelici e non cristiani, e i cui preti potevano sposarsi. Di fronte al rifiuto di scioglierla, come era stato chiesto dalla Congregazione per la dottrina della fede, interpellata sulla possibilità di trovarle una figura canonica per riconoscerla istituzionalmente, nel 2005 egli era stato sospeso a divinis.

Secco il giudizio di monsignor Alvaro Ramazzini, vescovo di San Marcos: «Questi scismi sono dovuti alla personalità dei preti, che hanno però trovato un ambiente favorevole in gruppi carismatici lasciati senza accompagnamento pastorale». Più di fondo la riflessione di dom Demetrio Valentini, vescovo di Jales, in Brasile: «Il fenomeno segnala la necessità che la Chiesa latinoamericana, come quelle di Africa e Asia, abbiano una propria autonomia e un volto proprio, cioè liturgia, ministeri e teologia propri, per costruire un cattolicesimo che si identifichi con le culture locali. Serve una comunione che permetta la diversità».

Mauro Castagnaro

L’articolo originale si trova qui:

http://www.stpauls.it/jesus/1101je/1101je40.htm