I temi che riguardano il sacerdozio uxorato e il celibato sacerdotale non sono affatto nuovi e neanche originali nella riflessione cristiano/cattolica e non, anzi molti studiosi dei problemi storici e teologici connessi ad essi ritengono che nessuno riuscirebbe a contare tutti i libri e gli articoli che solo in quest’ultimo arco di tempo sono stati pubblicati su questi argomenti. Il perche’ di questo interesse, forse, si spiega dal fatto che attorno a questi temi, soprattutto a quello del celibato, si sia in qualche modo condensata una certa crisi di identita’ della vocazione sacerdotale e religiosa soprattutto in quelle chiese, laddove ad ogni aspirante seminarista viene imposta la “scelta” celibataria prima di essere ammesso alla formazione verso il diaconato e presbiterato, scelta, o meglio dire “condizione” per altro non esclusivamente contemplata nel messaggio profondo di Gesu’ contenuto nella Sacra Scrittura. La sensazione, fortemente avvertita e abbastanza verificabile, e’ quella di una formazione carente verso la naturalita’ e creaturalita’ dell’uomo, formazione concentrata soprattutto sul versante difensivo e immunizzante nei confronti di una sessualita’ intesa come pulsione da controllare e tentazione da combattere. In alcune chiese con questo tipo di forma mentis fattiva, a mio modesto parere, si corre un rischio molto grosso: il rischio e’ che l’area dell’affettivita’, proprio quella che e’ considerata centrale nella dinamica cristiana e della vocazione presbiterale e religiosa, resti di fatto disattesa, depauperata della bellezza virtuosa e intrinseca dell’uomo capace di fare scelte importanti, capace di amare e di ricevere amore, quell’amore sponsale e responsabile, paradigmatico nel ministero ordinato per, con, in Cristo, reciproco insieme alla propria amata o il proprio amato in matrimonio.

La bellezza del sacerdozio uxorato sta proprio nel fatto che Cristo sacerdote vive egli stesso nel e del contesto familiare. Il ministro ordinato, in una realta’ ecclesiale come la mia ad esempio (Chiesa Cattolica Ecumenica Di Cristo), serve la Chiesa non solo nei poveri, negli ultimi e verso tutti i fedeli con passione e dedizione, ma vive pure mangiando pane del proprio sudore lavorando, sensa nessun sostentamento del clero, servendo e amando complementariamente la persona che ha sposato e la famiglia che Dio gli ha donato. Per un consacrato (o una consacrata) sposato/a, diviene dunque necessario desiderare contemporaneamente Cristo e la sua sposa (o il suo sposo), ma questo connubio, per vivere in pieno il sacerdozio, non e’ scontato, assistiamo infatti ad un fenomeno singolare tipico dei giorni nostri: la caduta appunto del desiderio come qualita’ e del desiderare come facolta’.

Per entrambi gli sposi, e poco importa chi sia di loro sacerdote, desiderare significa aprire la propria vita a qualcosa di nuovo che ancora non si conosce pienamente del tutto, ma che si sente comunque significativo; vuol dire proiettarsi insieme verso il futuro, verso qualcosa che ancora non si possiede, ma in cui ci si riconosce nel ministero ordinato e nella propria famiglia. Proprio per questo il desiderio rende entrambi creativi, attiva la volonta’, smuove le energie, da’ la forza di affrontare e superare le inevitabili difficolta’ di questo percorso, dona il coraggio di sostenere l’attesa del compimento del desiderio stesso, sublima l’amore del Padre in Cristo nella e per la Chiesa, sigilla l’amore del Figlio attraverso l’amore incondizionato per i propri figli. Questo rende sacra la famiglia come la Sacra Famiglia, scusando il gioco di parole eheheh. Desiderare significa dunque avere a che fare inevitabilmente e naturalmente con l’amore ed e’ ovvio che chi non si lascia amare o non vive con gratitudine l’amore ricevuto, non potra’ mai consegnarsi e amare a sua volta.

Bisogna continuamente fare accrescere il desiderio, chiederlo fortemente al Signore e a Nostra Madre in preghiera, nella Liturgia, nel servizio della diaconia e soprattutto nella celebrazione eucaristica.

Il sacerdote uxorato, per sua natura, insieme alla propria moglie o al proprio marito e i propri figli, e’ completo in e di questo triplice amore per il Signore, la Chiesa e la propria famiglia, vivendo in continua tensione ed inseparabilmente i tre desideri realizzati e trasformati ontologicamente in Cristo: desiderio sponsale, desiderio paterno e desiderio pastorale. Lo slancio missionario del sacerdote sposato e’ piena forza spirituale e umana che viene realmente dallo Spirito Santo che illumina e sostiene in modo libero e liberante lui e tutta la sua famiglia.